L’alternarsi di voci e prospettive come quelle del pedagogista Ivo Lizzola (noto e caro ospite di AC) e della giovane teologa di Azione Cattolica Alice Bianchi ha portato alla luce alcune riflessioni e sguardi interessanti sul futuro.
Ecco allora alcuni spunti che vogliamo condividere qui, anche grazie all’incontro di chiusura della festa domenica 12 giugno, che si è aperto con una presentazione/riassunto elaborato dalla Commissione Festa AC e realizzato da Benedetta Lodi e Cecilia Gherardi.
Cinque sono stati i concetti lanciati dai relatori e che hanno risuonato in questi giorni di Festa AC: INCERTEZZA, IMPERFEZIONE, DISORDINE, DIMENSIONE DELLA CURA e SPERANZA.
INCERTEZZA, che porta alla responsabilità
Ivo Lizzola ha descritto il tempo che stiamo vivendo come un tempo di smarrimento in cui è difficile guardare al futuro e Alice Bianchi ha rilanciato dicendo che “il futuro è incerto per definizione“, ma che i cristiani e le cristiane se la sono proprio scelta l’incertezza, l’hanno sposata. Non è un effetto collaterale, era già chiaro e tondo quando c’era Gesù: (Lc 9) “Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo»”.
“Dovunque tu vada” è una ricerca di rassicurazione: “fammi tu da roccia”. Invece Gesù leva ogni rassicurazione: non c’è un luogo dove riposare…
Nell’incertezza però ci si può anche cercare, accompagnare, incontrare, si può avere attenzione, e questo contrasta la grande spinta alla semplificazione, al pregiudizio, all’esclusione, che caratterizza questo tempo.
Servono adulti e giovani adulti capaci di aver cura del futuro di altri, capaci di tenute intergenerazionali, di promesse e fedeltà, di custodia e coltivazione.
IMPERFEZIONE, che chiama vicinanza
Scrive papa Francesco nella sua enciclica: “Coi suoi gesti il buon samaritano ha mostrato che l’esistenza di ciascuno di noi è legata a quella degli altri: la vita non è tempo che passa, ma tempo di incontro” (Fratelli tutti, n. 66). E poi: “Questa parabola è un’icona illuminante, capace di mettere in evidenza l’opzione di fondo che abbiamo bisogno di compiere per ricostruire questo mondo che ci dà pena. Davanti a tanto dolore, a tante ferite (…) si può rifare una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e rialzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene sia comune” (Fratelli tutti, n. 67).
Camminare per le comunità cristiane è anche incontrare l’evidenza che portano dentro “qualcosa dell’uomo ferito, dei briganti, di chi va oltre, di chi si ferma e cura” (Fratelli tutti, n. 69). Partiamo dalla consapevolezza di essere “comunità non innocenti”, bisognose di misericordia e di riconciliazione, anche dentro noi stesse, sul cammino che può farci portatrici di misericordia e giustizia, riconciliazione e cura tra le donne e gli uomini, e nella convivenza nella quale tracciamo il nostro cammino.
DISORDINE che evoca lo Spirito
Papa Francesco al Consiglio Nazionale di Azione Cattolica il 30 aprile 2021 ha detto: “State attenti a non cadere nella schiavitù delle cose “perfette”… Il Vangelo è disordine perché lo Spirito, quando arriva, fa chiasso al punto che l’azione degli Apostoli sembra azione di ubriachi; così dicevano: “Sono ubriachi!” (cf. At 2,13)”.
Con l’ascensione celebriamo un Dio che si sottrae, che non trattiene il potere, anzi è un Dio che dona il proprio Spirito, che è tutto fuorché stabilità: è scompiglio, disordine, ma è un aiuto per farci stare sulle nostre gambe e camminare da soli.
DIMENSIONE DELLA CURA che porta a riseminare
Farsi prossimi non è solo dare un po’ di tempo, è piuttosto una “piegatura”, un “chinarsi” del proprio tempo presso il momento e la condizione dell’altro; è cura del tempo con e per l’altro, come quando si crescono le figlie e i figli. La vita è tempo d’incontro.
La vita comune è quello spazio di vita che tu recuperi dentro la tua come prezioso e importante, decisivo anche per l’identità. È qualcosa che ha che fare con gli stili di vita, non solo con le progettazioni sociali, con le interiorità e con le politiche di giustizia.
SPERANZA che implica attesa
Dobbiamo “cercare il Regno di Dio”, cioè abituarci a vedere i passi della speranza, che già ci sono. Ora occorre essere capaci di favorire rigemmazioni, di morire e rinascere, e fare spazio ad altro. Fare spazio e consegnare racconti, preparare terreni e consegnare sogni: con parole che vengano de-costruite e ri-composte in nuovi esercizi di responsabilità e cura.
Occorrerà trovare il gusto della parola: quella che cerca la vita, la domanda, la verità; quella che disegna tra noi desiderio e legame, patto e sogno condiviso; quella che sceglie, che osa, che impegna alla giustizia.
Il compito di noi cristiani e cristiane è sempre stato e sarà sempre quello di rimanere in uno stato di vigilanza per cercare e testimoniare i segni del Regno.
Inauguriamo, allora, una stagione della VEGLIA per rilanciare uno sguardo insieme sul futuro.