Arriviamo con due pullman da Carpi, al mattino presto, per incontrare il Papa e tante altre persone che come noi hanno risposto al suo invito. Ci incamminiamo verso San Pietro, insieme a noi ci sono ragazzi e ragazze dell’ACR, giovani e giovanissimi, adulti e “adultissimi”, arrivati da ogni parte d’Italia per l’incontro nazionale “A Braccia Aperte” con tutta la famiglia dell’Azione Cattolica.
L’ingresso in piazza ci regala subito l’immagine dell’abbraccio, con le colonne di pietra che ci accolgono in una cornice piena di persone sorridenti e festose. La mattinata è piena di parole ed emozioni forti: dopo un momento di preghiera, l’attore Neri Marcorè intona “La guerra di Piero” di de Andrè, ricordando il ruolo attivo che molti cattolici hanno avuto nella lotta per la liberazione dell’Italia e per la pace. La testimonianza di Tina Anselmi, come del resto anche del “nostro” Odoardo Focherini (di cui portiamo fieramente uno stendardo con noi) ci insegna che i valori di libertà e impegno civile sono espressione profonda della nostra fede cristiana.
Poco dopo arriva Papa Francesco, con il consueto giro di saluti, cori festosi e striscioni sventolati.
Il suo discorso parte dagli abbracci, gesti fondamentali di relazione, quelli degli amici, dei genitori, di Dio. Sono tre le forme di abbraccio che ci racconta: «L’abbraccio che manca, l’abbraccio che salva, l’abbraccio che cambia la vita».
È doveroso un richiamo alla tragica situazione dei conflitti nel mondo: «All’origine delle guerre ci sono spesso abbracci mancati o rifiutati, a cui seguono pregiudizi, incomprensioni e sospetti, fino a vedere nell’altro un nemico. […] Voi potete testimoniare a tutti che la via dell’abbraccio è la via della vita.»
L’esempio di abbraccio più puro viene da Dio stesso, espresso nei gesti di Gesù: «non perdiamo mai di vista l’abbraccio del Padre che salva, paradigma della vita e cuore del Vangelo, modello di radicalità dell’amore, che si nutre e si ispira al dono gratuito e sempre sovrabbondante di Dio».
Infine, Francesco ci esorta a tornare a casa portando con noi la “cultura dell’abbraccio”, per prenderci cura delle nostre comunità, diventare costruttori di pace e, richiamando il titolo del prossimo Giubileo, essere “pellegrini di speranza”.
Sulla via del ritorno, ci fermiamo per la messa alla chiesa di San Giovanni Battista a Firenze, anche detta Chiesa dell’Autostrada, simbolo di ospitalità per viaggiatori sia per la collocazione a bordo dell’autostrada, che per la struttura simile ad una grande tenda.
Viaggio, amici, abbracci, impegno: gli ingredienti per un’AC, una chiesa, una società più umana, libera e pacifica a volte sono allo stesso tempo semplici e complessi. Per vincere la diffidenza verso chi non conosciamo, per far prevalere l’accoglienza al rifiuto, il perdono alla vendetta, la pace alla guerra, proviamo anche noi a restare un momento in più come abbiamo vissuto oggi: “a braccia aperte”.
Di Matteo Tarabini Solmi